Dopo aver visitato il versante nord dell’Etna, ci spostiamo a sud, la zona maggiormente vocata per la produzione di vino bianco. Andiamo a visitare un altro grandissimo nome del panorama vitivinicolo locale, l’Azienda Agricola Biondi situata a Trecastagni (Catania) a pochi chilometri dal mare di Aci Trezza.
Le vigne e il palmento
Arriviamo all’antico palmento e alle vigne sulle pendici del vulcano (la cantina invece si trova in centro a Trecastagni). Saliamo subito tra i filari scoscesi superando il palmento e arriviamo ad un magnifica terrazza da cui si gode di un fantastico panorama, le vigne di Biondi e il mare in lontananza. Mentre stappiamo i vini per la degustazione, iniziamo a parlare con il gentilissimo Ciro, che non ci parla solo del suo vino, ma soprattutto di un territorio e della sua gente.
Storie di famiglia
I Biondi producono vino da sempre, una bellissima storia di famiglia siciliana. La cantina viene portata ad altissimi livelli dal nonno di Ciro Biondi, che addirittura presenta i suoi vini a Parigi e vince diverse medaglie tra il 1912 e 1913. Questo in un periodo in cui l’Etna non aveva alcun tipo di reputazione né in Italia né all’estero, tanto che la maggior parte del prodotto vinicolo locale veniva usato come taglio per i vini del nord Italia.
La seconda metà del ‘900 è dura per il vulcano del vino, la maggior parte delle vigne viene abbandonata, in pochi continuano a crederci, ma i Biondi tengono in piedi l’azienda seppur a basso regime. Il papà di Ciro cerca in tutti i modi di dissuadere il figlio architetto ad intraprendere la strada di famiglia.
Ma, diciamo noi per fortuna, Ciro è testardo e insieme alla compagnia Stephanie Pollock rinnovano l’azienda, recuperano i vigneti, ristrutturano l’antico palmento e portano i loro vini a grandissimi livelli, con la prima annata vendemmiata nel 1999 e vino in uscita nel 2002. Una rinascita che fa ricredere anche il padre, orgoglioso di vedere il sogno del nonno rinnovato.
La Grecia e la Francia
Tre i vigneti coltivati ad alberello su palo di castagno, il sistema utilizzato dai greci che ritenevano questa zona perfetta per la viticoltura (altrimenti perché si sarebbero spinti così in alto?). Suolo differente per le vigne, alcune poste su crateri relativamente recenti (125 a.C.) e con la vigna San Nicolò situata più in alto su un cratere di circa 25.000 anni fa.
La Francia entra in gioco invece per quanto riguarda il prodotto finale. Affascinato dai grandi vini francesi, ma credendo nelle potenzialità dei vitigni autoctoni e del terroir dell’Etna, Ciro cerca di applicare le tecniche di lavorazione utilizzate in Borgogna. E i risultati gli danno ragione: l’eleganza del suo Nerello Mascalese è veramente paragonabile ai grandi Pinot Noir, e il Carricante riesce a fare a gara con gli Chardonnay della regione di Chablis. Paragoni arrivati direttamente anche da autorevolissimi produttori francesi e che speriamo un giorno verranno utilizzati in senso contrario, con l’Etna a costituire un modello di eccellenza per i nostri cugini d’oltralpe.
Ulisse e Polifemo
La Sicilia è una perfetta macchina del tempo, si sa. Basta poco per tornare indietro e perdersi in miti e leggende antiche. Scendendo dal vulcano verso il mare si arriva ad Aci Trezza, nota non solo per aver fatto da quinte alla saga famigliare de I Malavoglia di Verga, ma anche per essere protagonista nell’Odissea di Omero. Si racconta infatti che Polifemo, inferocito essere stato accecato, avesse lanciato grandi massi verso il mare cercando di colpire Ulisse in fuga e che questi massi siano oggi i faraglioni di Aci Trezza.
Calatevi anche voi nel mito e immaginatevi questa scena accaduta mentre i Biondi stavano pensando al nome del vino di prossima uscita: il figlio di Stephanie passa la mattinata in spiaggia e quando la madre gli chiede chi fosse il bambino con cui aveva giocato tutto il tempo, si sente dare come risposta “Nessuno”. Trovato il nome, la musa ispiratrice ha parlato: Outis, nessuno in greco.
Outis Bianco 2018
Un Etna Bianco DOC a base Carricante, Catarratto e con un po’ di Minnella. L’Outis Bianco 2018 è un must di questa DOC, la sua spiccata acidità e la nota sapida lo rendono irresistibile, da bere un bicchiere dietro l’altro.
È questo quello che vogliamo sentire mettendo il naso in un Etna bianco: la mineralità del terreno lavico, le note floreali di fiori d’agrumi, quelle di mela, il balsamico. Gli stessi sentori che si ritrovano in bocca, con un finale leggermente ammandorlato e una grande persistenza.
Outis Rosso 2018
L’equivalente DOC a base Nerello Mascalese e Nerello Cappuccio è l’Outis Rosso 2018, imbottigliato a fine agosto 2019 dopo aver fatto affinamento in acciaio e legno tra barrique e tonneau.
Il colore è scarico, dovuto all’annata particolarmente piovosa che non ha lasciato il tempo per la concentrazione massima degli antociani presenti nella buccia.
Il naso sprigiona aromi di grande intensità, che colpiscono per la freschezza balsamica: melagrana, lamponi, una nota marina e fumé che si accompagnano alla mineralità lavica. Grandissima eleganza e piacevole beva.
Una sorpresa
Purtroppo, siamo capitati nel periodo in cui i due cru rossi dell’azienda, il San Nicolò e il Cisterna Fuori, non sono stati ancora imbottigliati, per cui il nostro ospite ricorre ad una sorpresa. La prossima bottiglia non si chiama “nessuno”, non ha proprio nessun nome! Chiamiamolo esperimento o capriccio del fantastico Ciro, un 2014 a base Cabernet Sauvignon piantato come scommessa diversi anni fa e non destinato al mercato. Se ne produce l’equivalente di una barrique l’anno e non viene filtrato prima di essere imbottigliato.
Ci viene servito senza dirci cos’è e il gioco ad indovinare il vitigno stupirebbe chiunque. La simbiosi vulcano / Biondi è riuscita a far andare oltre il Cabernet, non limitandolo solo alle classiche note erbacee, fruttate e speziate (facile tirarci fuori il peperone, i frutti di bosco e il pepe), ma dandogli una tridimensionalità inaspettata. La mineralità e texture di questo vino lo proiettano ad un livello difficile da raggiungere con il Cabernet.
Pianta 2016 e 2018
Il cru bianco di Biondi è un Etna DOC a base Carricante e Catarratto: il Pianta, o Chianta in siciliano come si chiamava qualche anno fa (leggete qui il perché del cambio nome), proveniente dall’omonima vigna così chiamata perché fu l’ultima ad essere piantata dal bisnonno. Macerazione di 24 ore sulle bucce e fermentazione in tonneau senza controllo della temperatura. Niente malolattica, batonnage ogni una o due settimane e affinamento di almeno 9 mesi in bottiglia.
Non dovremmo dirlo, ma per un fortunatissimo errore Ciro stappa una 2016 invece che l’ultima annata in commercio, regalandoci così un successivo confronto con la 2018.
Rimaniamo subito stregati mettendo il naso nei bicchieri: sentori minerali, il salmastro del cappero, note più dolci di miele, un leggero fumé. E ancora finocchio selvatico, pesca bianca, cedro, fiori. La 2016 ovviamente concentra maggiormente colore e profumi, spingendo sulla mineralità, mentre la 2018 punta ancora molto sulla freschezza e acidità.
Continuiamo a paragonare i vini e non si finisce più di scoprire nuove sfumature, sicuramente uno dei migliori Etna bianchi mai assaggiati. Facile qui il paragone con i grandi vini francesi della regione di Chablis.
Salutiamo l’Etna sud
Riprende il nostro viaggio, speriamo meno sofferto di quello di Ulisse, e salutiamo anche la zona sud del vulcano, affascinati dalla scoperta delle differenze sostanziali con il versante nord.
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Michele
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