Credo di aver scelto il momento migliore per visitare la Cantina Fratelli Pardi a Montefalco (PG). La fine di ottobre è un periodo estremamente affascinante in questa regione, l’autunno avanza ed è possibile ammirare il foliage, il cambio di colore delle foglie, che rende i paesaggi umbri ancora più magici.
La Cantina Fratelli Pardi
Ci accoglie Alberto, che con suo fratello Gianluca gestisce questa azienda ricca di storia e tradizione. La famiglia Pardi iniziò infatti a produrre vino fin dal 1919, rallentando poi nel ’46 quando entrò nel mondo del tessile per relegare la viticultura all’ambito famigliare quasi hobbistico. Nel 1998 Alberto, Gianluca e Francesco (i pronipoti dei fondatori) decidono di reimpiantare tutte le vigne e ricominciare a produrre vino seriamente. Tutti i terreni dell’azienda sono rivolti a sud, suolo a componente argillosa con scheletro grande verso il paese, che diventa sempre più piccolo fino ad essere ghiaioso verso valle.
La prima vendemmia fu nel 2003 e oggi producono 55.000 bottiglie all’anno grazie agli 11 ettari di proprietà.
La filosofia dell’azienda è chiara: basta con i vini troppo strutturati e difficili da bere come andava di moda anni fa nella zona, qui si cerca l’eleganza e la facilità di beva. Nei limiti consentiti dal tannico Sagrantino ovviamente…
Passeggiamo in vigna, la vista e i colori sono eccezionali. Le foglie del Sagrantino infatti diventano rosso acceso in autunno, un colpo d’occhio sorprendente il contrasto con il giallo delle altre foglie che si seccano e il verde di alcune piante.
Dopo aver visitato la cantina e la bottaia, iniziamo la degustazione, curiosi di comprendere al meglio come la tradizione e la modernità di questa azienda riescano a fondersi e a rispecchiarsi nei loro vini.
Il Grechetto
Si inizia con due bianchi a base Grechetto. Il primo è il Colle di Giove 2019, un Umbria Bianco IGT composto al 60% da Grechetto, 25% Trebbiano Spoletino e 15% Chardonnay. Profumi di frutta matura a polpa gialla, pesca, albicocca, nespole. Ideale con una zuppa di legumi o un risotto allo zafferano.
Passiamo poi al Montefalco Grechetto 2019 DOC, con il famoso vitigno umbro vinificato in purezza. Un naso di impatto, fruttato ed erbaceo. Anche in bocca risulta molto verticale, con un finale ammandorlato tipico del Grechetto. Di grande struttura, ha quasi un corpo da vino rosso, di sicuro un vino da pasto. Qui l’abbinamento è con coniglio, pollo, porchetta o con un’invernale zuppa di ceci.
Il Trebbiano Spoletino
Un vitigno in ascesa questo Trebbiano Spoletino, oggetto di una riscoperta che seguirò con grande interesse. Alberto Pardi ci racconta di come questa cultivar dal grappolo biforcuto sia soltanto omonimo del Trebbiano noto nel centro Italia (soprattutto in Toscana, Abruzzo, Romagna e Lazio), pur non avendo con questi nulla in comune. Diffuso nel triangolo compreso tra Montefalco, Spoleto e Trevi, è un vitigno semi-aromatico che si coltiva facilmente a fondovalle e in pianura, non avendo problemi di marciumi da umidità. Viene vendemmiato tardissimo rispetto agli altri bianchi, a volte a metà ottobre o addirittura novembre.
La sua coltivazione era fino a pochi anni fa estremamente limitata, i produttori della zona lo avevano in gran parte sostituito con vigne di Grechetto, un vino più immediato e spendibile sul mercato. Con l’evoluzione del gusto degli ultimi due decenni e con il lento distaccarsi dal concetto del vino bianco da bere solo nell’annata corrente, molte aziende stanno via via ripiantando il Trebbiano Spoletino, avendone colto l’eleganza e la potenzialità di evoluzione.
È infatti solo nel 2011 che questo vino viene riconosciuto come DOC e i produttori della zona stanno ancora cercando un minimo comun denominatore per dare un’identità precisa al prodotto. Sono però sicuro che se ne sentirà parlare sempre di più.
Lo Spoleto 2019 Trebbiano Spoletino DOC di Pardi è una piacevolissima sorpresa. Naso elegante, frutta matura, ananas, pompelmo, grande mineralità. Da abbinare a pesce crudo o a una vellutata di zucca con castagne sbriciolate sopra.
Interessante poi metterlo immediatamente a confronto con lo Spoletino 2018, l’altro Trebbiano Spoletino DOC dell’azienda. Ottenuto con le stesse uve del primo vino, ma solo da mosto non ancora pressato e sgrondato naturalmente grazie al peso dell’uva sovrastante, lo Spoletino viene affinato per 8 mesi sulle fecce fini e resta almeno altri 9 mesi in bottiglia prima di essere immesso al commercio. Già con un anno in più di affinamento è netta la differenza tra i due vini, le note terziarie si iniziano subito a sentire.
Ed ecco che il paragone con il re dei vini bianchi “da invecchiamento” mi viene spontaneo: si iniziano a sentire infatti delle note di idrocarburo tipiche del Riesling Renano. All’assaggio ho una conferma alla mia idea iniziale, è infatti evidentissima la nota citrina del pompelmo, una spiccata mineralità e grande persistenza.
Spoiler alert: Pardi ci confida che sta per imbottigliare il primo Charmat dell’azienda, ottenuto facendo la presa di spuma direttamente dal mosto. Saremo curiosi di vedere come se la cava il Trebbiano Spoletino con le bollicine!
Il Montefalco Rosso
Passiamo ai rossi. Si inizia con il Montefalco Rosso, una DOC che mi ha sempre incuriosito molto, avendo percentuali di uve differenti dalla corrispondente DOCG del Sagrantino di Montefalco. Mentre in quest’ultimo infatti è consentito usare solo il Sagrantino in purezza, nel Montefalco Rosso è possibile impiegare Sangiovese dal 60 all’80%, Sagrantino dal 10 al 25% (quantità aumentata con la revisione del disciplinare nel 2016), e per il restante 15/30% altre uve rosse consentite nella regione.
Un concetto molto diverso quindi dalle accoppiate famose di DOCG e DOC simili come Brunello & Rosso di Montalcino o Vino Nobile & Rosso di Montepulciano. Esterno questa mia riflessione ad Alberto, il quale mi spiega che, almeno secondo la concezione della Cantina Pardi, il Montefalco Rosso non deve essere un “mini-Sagrantino” ma che è giusto che abbia una sua identità a sé stante. Nonostante molti produttori, specialmente in passato, usino legni nuovi e barrique per creare Montefalco Rosso molto strutturati e potenti, Alberto e Gianluca ricercano invece un vino diverso, più beverino, che non necessiti insomma di farsi attendere anni di cantina per poterlo bere con piatti semplici.
Il Montefalco Rosso DOC 2018 di Pardi è composto al 70% da Sangiovese, 15% Sagrantino e per il restante 15% da Merlot e Cabernet. Affina 12 mesi in botti di rovere francese e sloveno e poi altri 6 mesi in acciaio. La vinificazione dei singoli uvaggi avviene separatamente, così come l’affinamento in legno. Le diverse masse vengono poi unite in acciaio e lasciate stabilizzare. Un bel colore acceso, al naso spicca la ciliegia sotto spirito, frutti di bosco, spezie. Una lieve nota scura di sottobosco e legno di liquirizia.
In bocca il tannino c’è ma non è appunto quello di un Sagrantino e nemmeno quello del Sangiovese toscano in realtà, essendo questa variante umbra molto più simile al Sangiovese romagnolo meno tannico e più acido del primo. Perfetto per una pappardella al ragù o per le tagliatelle burro e tartufo.
Passiamo poi al Montefalco Rosso Riserva DOC 2016, composto dal 70% di Sangiovese, 20% di Sagrantino e 10% di Montepulciano. Affinamento in botte grande per 6 mesi in più rispetto alla versione base (quindi 18 mesi) e poi 9 mesi in acciaio. La versione Riserva viene prodotta solo nelle annate eccezionali ( la 2017 ad esempio non è stata ritenuta idonea). La 2016 invece è stata un’annata fresca, molto criticata da alcuni produttori della zona, ma non dai Pardi, che la ritengono particolarmente elegante e adatta al tipo di vino che vogliono produrre. Ecco quindi che il naso si fa più scuro ma soave, si sente l’arancia rossa, note balsamiche e di tostatura più rimarcate. Un vino da arrosto.
A questo punto abbiamo il privilegio di provare un’esperienza possibile solo andando a visitare una cantina. Il gentilissimo Alberto ci fa assaggiare, spillato direttamente dalla vasca di acciaio, il vino che diventerà poi il Montefalco Rosso Riserva DOC 2018, che possiamo così non solo accostare alla 2016, ma soprattutto al base della stessa annata. Un naso incredibile, minerale, con sentori di cenere e di grafite. Una bocca altrettanto sorprendente, rotonda e succosa, nonostante il tannino ovviamente ancora scalpitante e da stabilizzare. E pensare che questo vino non è stato ancora filtrato. Assaggio esplicativo per cogliere appieno le differenze tra la filosofia del Rosso e quella del Rosso Riserva.
Il Sagrantino
Passiamo al piatto (o meglio al bicchiere) forte! Il Sagrantino di Montefalco 2016 DOCG di Pardi proviene da una selezione delle migliori uve coltivate nelle diverse vigne dell’azienda. Fermentazione sulle bucce di 7-8 giorni evitando di appesantire troppo il vino con lunghe ed eccessive estrazioni, viene elevato in botte grande sempre di rovere francese e sloveno per 18-24 mesi, seguito da altri 12 mesi in acciaio. Dopo l’imbottigliamento resta ancora per 8 mesi in cantina prima di essere commercializzato.
Un colore non troppo carico che ci fa presagire un naso che poi risulta elegantissimo, pulito. Eccezionali le note di mora, sottobosco umido con sentori terrosi e di funghi secchi. In bocca un tannino ben elaborato, seppur ancora giovane. Già estremamente intrigante ora, sarebbe da aspettare ancora qualche anno per apprezzarne ancora di più il potenziale.
A seguire il cru dell’azienda, il Sacrantino 2016, sempre un Sagrantino di Montefalco DOCG, ma ottenuto con uve provenienti solo dal vigneto di Pietrauta (presenti comunque in parte anche nel Sagrantino di cui sopra). L’affinamento questa volta è in legno grande austriaco, più o meno della stessa durata se non per 4 mesi in più di bottiglia prima della vendita. Il Sagrantino e il Sacrantino vengono quindi immessi al commercio solitamente nell’arco della stessa annata.
I profumi si fanno più delicati in questo caso, passando a note di rosa e fiori appassiti, con una punta pepata molto stuzzicante. All’assaggio appare più austero e strutturato, con un tannino molto presente ma forse più setoso. Anche in questo caso stappare l’annata in commercio è quasi un peccato, l’ideale sarebbe attendere 8-9 anni dalla vendemmia per poterlo gustare al meglio.
Il Sagrantino Passito
Concludiamo la degustazione con il Montefalco Sagrantino Passito 2014 DOCG. L’uva proviene dal vigneto più prossimo al capannone di appassimento, proprio per accorciare i tempi di raccolta ed evitare che i grappoli si danneggino nel trasporto facendo partire fermentazioni indesiderate ed evitando marciumi. Viene vendemmiata solo una settimana prima di quella destinata alla versione secca del vino. Pardi infatti vuole aspettare la maturazione completa per poi effettuare l’appassimento sui graticci in maniera lenta e tradizionale, per ben due mesi.
Ci spiega come gli enzimi all’interno dell’acino possano così lavorare con calma, cosa che non succede invece quando si usano deumidificatori che accorciano l’appassimento a due sole settimane. È la prima volta che visito una cantina nel periodo dell’appassimento, il profumo zuccherino che sprigionano i grappoli è inebriante, un vero spettacolo sensoriale.
Vino consistente nel bicchiere, al naso è un tripudio di sentori, si percepiscono sia la frutta rossa in confettura, che intriganti note cioccolatose. Balsamicità, speziatura, c’è tutto quello che serve a farci pensare che non sarà un vino troppo dolce e stucchevole. E così è infatti. I fratelli Pardi riescono ad ottenere quello che a mio modesto parere dovrebbe essere il Sagrantino Passito: non solo un vino dolce da abbinare a pasticcini e torte al cioccolato, ma che rischia poi di stancare dopo solo mezzo bicchiere, ma un grandissimo vino complesso che può accompagnarsi a formaggi, cacciagione e fegato. La sua struttura e il suo tannino lo rendono quasi un vino a tutto pasto, mi viene in mente immediatamente l’abbinamento con un crostino al paté.
La ripresa della tradizione
Salutiamo Alberto, ringraziandolo per l’interessantissima visita ma soprattutto per aver ripreso in mano l’antica tradizione enologica di famiglia.
Michele